Vediamo di dire qualcosa di sensato sull’immigrazione.
Qualcosa che non ho sentito dire da nessun esponente politico, e che mi sarei aspettato che qualcuno che appartiene a uno schieramento di sinistra prima o poi dicesse.
Qualcosa che avesse dei contenuti e che non si limitasse a riproporre frasi fatte e a puntare tutto sulla contestazione alle politiche anti-accoglienza.
Qualcosa che avesse un profumo di futuro, che manifestasse una certa comprensione del mondo e che non associasse l’etica all’inerzia.
E’ così difficile? Io non credo.
Cercherò di farla semplice.

Inarrestabili e inevitabili

Il primo punto da cui non si può prescindere è che le migrazioni sono inevitabili. E inarrestabili.
Questo fondamentalmente per due motivi. Il primo è il fatto che sono un fenomeno naturale. Quasi tutte le specie animali migrano, lo fanno da secoli e per un motivo ben preciso: la sopravvivenza. Cercano riserve di cibo più abbondanti, un clima più mite, le giuste condizioni per riprodursi. In alcuni casi le migrazioni possono durare mesi e il viaggio è carico di rischi e di pericoli. Eppure, si compie ogni anno.
Per gli esseri umani non è molto diverso: se lasciano i loro luoghi di origine è quasi sempre per cercare condizioni di vita migliori, per se e per i propri cari. La dinamica dello spostamento è insita nelle leggi della natura.
Si potrebbe obiettare che le migrazioni animali sono finalizzate ad un viaggio di ritorno, mentre quelle umane no. Questo però è insito nel diverso rapporto tra uomo e natura: spesso la nostra sopravvivenza dipende dal lavoro, e il lavoro in genere non cambia residenza di anno in anno. Ad ogni modo, anche quando la migrazione è “pendolare”, si può incorrere in fenomeni di intolleranza e discriminazione (i frontalieri italiani ad esempio dovrebbero saperne qualcosa).
In compenso, gli esseri umani si sono inventati disparati stimoli migratori (per questo prima scrivevo che “quasi sempre” cercano situazioni di vita migliori): l’esilio, per esempio, o le deportazioni, fenomeni assenti nel mondo animale. Curiosamente, quando è gestita dal potere (spesso in termini punitivi) la migrazione è considerata legittima, quando agisce al di fuori di esso diventa reato.

Il secondo motivo in base al quale le migrazioni sono destinate a rimanere inarrestabili è molto più calato nella dimensione umana: perchè esse creano un mercato.
Un mercato potentissimo, come quello che solo lo sfruttamento dei bisogni primari può generare; e laddove c’è una forte domanda, alla quale non è possibile dare risposta seguendo vie legali, il mercato risponde con l’offerta clandestina.
Un genitore (europeo, bianco, istruito) con un figlio a cui venisse diagnosticata una malattia considerata senza scampo nel proprio paese, ma curabile in un paese straniero, non si farebbe fermare dalle leggi: sarebbe pronto a scavalcare muri e attraversare oceani per salvarlo, e se non gli venisse consentito pagherebbe trafficanti e corromperebbe guardie e funzionari per attraversare una frontiera.
Dal punto di vista economico, la tratta degli esseri umani è pienamente conforme alle regole. Può sembrare azzardato lanciare certi paragoni, ma è per lo stesso motivo (una forte domanda basata su bisogni primari che il mercato “legale” non può accontentare) che anche droga e prostituzione sono fenomeni inarrestabili. Non si può pensare di soffocarli o debellarli del tutto: vanno compresi e gestiti nel modo migliore possibile, se non altro con l’obiettivo di diminuire sensibilmente la domanda e mettere qualche bastone fra le ruote al mercato criminale che ne ha preso possesso.

Aiutarli a casa loro

Come non essere d’accordo?
Spiegateci però come è stato fatto finora, e se il metodo è così efficace, perchè non ha funzionato. Forse perchè stringere accordi con governanti prezzolati al solo scopo di bloccare i flussi migratori non è esattamente una forma di “aiuto”, anzi porta a reprimere ulteriormente le popolazioni? Forse perchè gli investimenti per le infrastrutture nei paesi in via di sviluppo si perdono in fiumi di corruzione?
Vi cito un esempio di cosa significhi secondo me aiutarli a casa loro.
Bidibidi è un campo profughi nel nord-ovest dell’Uganda. Attualmente è il secondo insediamento di rifugiati più grande al mondo. Gli oltre 270.000 occupanti sono per lo più in fuga dalla guerra civile scoppiata nel Sud Sudan nel 2013 e ancora in corso.
Negli ultimi 2 anni il governo ugandese, con il supporto di una galassia di associazioni internazionali, sta portando avanti un ambizioso progetto: trasformare il campo profughi di Bidibidi in una vera città. Una città che possa migliorare le condizioni di vita dei profughi, e che rimanga popolandosi di nuovi cittadini anche dopo che l’emergenza sarà passata, lasciando ai rifugiati la scelta se rimanere o tornare nel loro paese.
In questi 2 anni gli edifici di cemento (case, scuole, infermerie) hanno cominciato a rimpiazzare le tende; sono stati installati pannelli solari per dare energia elettrica e illuminare le strade; è stato incoraggiato lo sviluppo di attività economiche indipendenti, la creazione di negozi e mercati, ma anche un progetto di mappatura online dell’insediamento che segnala in tempo reale agli occupanti la nascita di una nuova strada, di una nuova pompa d’acqua potabile, di un nuovo ambulatorio o della nuova bottega di un parrucchiere.
Le persone sono state stimolate a cogliere opportunità di lavoro, invece di essere lasciate in balìa di loro stesse. Chi opera sul posto fa notare che all’inizio della loro storia città come New York o Venezia non erano molto diverse da Bidibidi.

Schermata 2019-06-22 alle 20.42.02A proposito, chi è che opera sul posto?
Oltre al supporto del governo ugandese e dell’UNHCR, io non ho trovato altri nominativi istituzionali o intergovernativi nell’elenco di chi sta “aiutando a casa loro” i profughi di Bidibidi. Ho trovato invece una schiera di associazioni non governative come Mercy Corps, American Refugee Committee, Windle International Uganda, Humanitarian OpenStreetMap Team, CartONG, Médecins Sans Frontières, International Rescue Committee, Catholic Relief Services, Dan Church Aid, Oxfam, Danish Refugee Council, Refugee Cities, per citarne solo alcune.
Cosa ci dice l’esempio di Bidibidi?
Primo, che i flussi migratori dall’Africa non interessano solo l’Europa, anzi, questi ultimi sono soltanto una piccola parte: la maggior parte dei profughi africani si muove all’interno del continente.
Secondo, ma forse più importante, che chi si occupa davvero di “aiutarli a casa loro” sono proprio quelle associazioni umanitarie e non governative che qualcuno bolla come “criminali”. Il fatto che ci possano essere ONG che agiscono in modo meno trasparente e disinteressato di altre non giustifica attacchi generici a tutta la categoria; e non va dimenticato che è il lavoro della maggior parte di queste  associazioni il miglior antidoto alle migrazioni di massa, non quello dei politici e dei poliziotti di frontiera, e non riconoscerlo significa non avere davvero a cuore la risoluzione del problema.

Ospitarli a casa tua

Dopo l’ “aiutarli a casa loro”, il “perchè non te li prendi a casa tua” è una delle argomentazioni più ricorrenti contro chi promuove l’accoglienza. Come se condannare l’abbandono degli animali equivalesse a doversi prendere in casa tutto il canile comunale. C’è forse una logica in questo?
La distribuzione dei migranti non è una sorta di vendita porta a porta. Qui non c’è nessuno che cerca di infilare a forza profughi negli appartamenti di privati cittadini, e non ci sarà mai. Quindi la prima argomentazione è che non c’è nessun problema di spazio, perchè non c’è nessuna invasione.
La seconda, a mio avviso ben più significativa, è che la gestione di determinate problematiche spetta a uno Stato; e da privato cittadino che paga le tasse e vota alle elezioni è mio diritto pretendere che per far fronte a situazioni di così ampia scala lo Stato prenda i provvedimenti concreti per fare ciò che io ritengo umanamente, socialmente (e aggiungo politicamente) giusto fare: gestire la cosa pubblica e le emergenze, nel rispetto dei diritti di tutti.
E’ lo stesso principio per il quale se ho bisogno di curarmi devo poter contare sulla sanità pubblica, invece di operarmi da solo; o per il quale se qualcuno mi fa danno, devo poter contare sulla giustizia, invece di afferrare una doppietta e farmi giustizia da solo.
Chi non è d’accordo, voti per chi la pensa diversamente.
A proposito, non ho ancora capito chi è che la pensa come me.

Un diritto universale

In futuro cambiamenti climatici e migrazioni saranno ancora più interconnessi, e le emergenze non riguarderanno soltanto l’Africa subsahariana o l’Indonesia. Un piccolo esempio:  le attuali proiezioni sui livelli di innalzamento dei mari nel giro dei prossimi decenni includono nelle aree a grande rischio diverse zone del Nord America (la costa orientale, la Florida, la Louisiana), del Canada e dell’Europa (in Italia le zone più a rischio sono il Nord-Est, i golfi di Taranto, Oristano e Cagliari).
Non si può parlare di previsioni a prova di bomba, ma si stima che tra i 3 e i 5 milioni di europei potrebbero essere vittime di eventi climatici nei prossimi 70 anni; tradotto, anche una parte considerevole di abitanti del “nord del mondo” potrebbe trovarsi costretta a spostarsi per sopravvivere.

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Ecco, un concetto che vorrei che la sinistra lanciasse chiaro e forte almeno quanto gli slogan contro il razzismo è questo: che difendere i diritti dei migranti che oggi cercano l’approdo sulle nostre coste significa difendere anche il nostro diritto di migrare. Significa garantire anche la nostra possibilità di spostarci, di cambiare, di fuggire, e di non trovarci davanti a porti e porte chiuse se e quando saremo noi ad aver bisogno di muoverci.
La libertà di movimento delle persone, di qualsiasi etnia, fede e posizione sociale, è un diritto troppo importante per essere “relativizzato”. Se cominciassimo a parlare di migrazioni facendo esempi a noi vicini diventerebbe più difficile non capire che le condizioni che spingono a migrare interi popoli, dalla Siria al Messico, non possono essere trascurabili.

A proposito di Europa

Nel quadro politico degli ultimi vent’anni progressismo ed europeismo sono sempre andati a braccetto, ed è auspicabile che le cose continuino così. La difesa del progetto dell’Unione è un punto fermo, per molte ragioni, tra le quali il caos che provocherebbe la sua caduta. E’ anche vero che non si pone abbastanza l’accento su quanto di buono l’UE abbia fatto per raggiungere standard molto elevati in tema di diritti dei consumatori, di politiche agricole, di difesa dei prodotti tipici e sicurezza alimentare (temi tra l’altro cari ai nazionalisti anti-europei, contraddizione che andrebbe messa in evidenza).
Ma ci sono temi sui quali la sinistra non solo può, ma deve muovere richieste e obiezioni all’Europa.
Uno di questi è proprio l’immigrazione.
L’Europa si è accorta tardivamente della necessità di una politica comune in materia e ancora la meta è lontana; l’atteggiamento nei confronti dei paesi dell’est e del loro rifiuto a prendersi la loro parte di responsabilità è semplicemente ipocrita; così come gli accordi sottobanco con la Turchia per sorvegliare la frontiera con la Grecia, o il mancato appoggio all’emergenza sbarchi in Italia. Sulla questione l’Unione non può avere due pesi e due misure, soprattutto quando in ballo ci sono libertà fondamentali e diritti umani. Per le sinistre europee alzare la voce contro i governi nazionali e le loro perversioni xenofobe e far finta di nulla quando l’Europa ignora i propri stessi princìpi, soltanto per non macchiarsi di antieuropeismo, è insensato e pericoloso.
Oggi si deve ribadire che non viviamo in una realtà immutabile, al contrario; e il primo paradosso del trionfo del sovranismo e di un eventuale crollo dell’Europa unita è che avrebbe come diretta conseguenza proprio una spinta migratoria europea – con l’aggravante di non poter gestire in modo unitario le spinte provenienti dall’esterno.

Tutti criminali?

Qualche tempo fa ho intercettato in rete il post di un anonimo che si chiedeva perchè i migranti invece di attraversare il Sahara e arrivare coi barconi non prendessero un volo low-cost dalla Nigeria o dalla Tunisia. “Se fai tutto questo sei un delinquente, altrimenti prenderesti un aereo” era l’ineluttabile conclusione.
Un post talmente ingenuo da puzzare di bufala, forse. Ma anche senza arrivare a certi paradossi è un dato di fatto che nell’occidente capitalista c’è una dilagante incapacità di immaginare realtà minimamente alternative. La nostra visione del futuro è talmente inesistente che non riusciamo nemmeno a considerare le multiformi diversità del presente. Ma davanti a fenomeni come il razzismo, l’intolleranza, la discriminazione noi non possiamo avere gli stessi “alibi” che avevamo un secolo fa.
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Basta scorrere questo articolo uscito sul New York Times il 18 dicembre 1880, che parla degli immigrati italiani come di “feccia sporca, miserabile, pigra e criminale”. Oggi abbiamo fior di testimonianze, orali, letterarie, artistiche, che raccontano come intolleranza e segregazione non abbiano mai, mai risolto nessun vero problema, e che migrazione e criminalità non sono sinonimi. Noi italiani abbiamo esportato Meucci, Toscanini e Sinatra così come Al Capone, ma tra i quasi 20 milioni di italiani che tra la metà dell’Ottocento e la fine del Novecento hanno lasciato il loro paese, senza farvi mai più ritorno, la “feccia miserabile, pigra e criminale” era sicuramente in netta minoranza.

Anzi, dati alla mano è possibile dimostrare quanto l’imprenditoria straniera possa creare posti di lavoro. Negli Stati Uniti ad esempio, nel decennio 1995-2005 più del 25% di tutte le nuove imprese del settore ingegneristico e tecnologico avevano almeno un cofondatore immigrato. Negli ultimi otto anni in Italia l’imprenditoria straniera è aumentata di circa il 30%, in direzione opposta a quella italiana. Sarebbe assurdo sostenere che non ci sia nessun indotto per i lavoratori e i consumatori italiani.

Crisi nera

La realtà è che viviamo già gomito a gomito, nelle scuole, nelle chiese, sul posto di lavoro. Allora forse non deve stupire che chi non vuole gli immigrati ripeta come un mantra che non è razzista. Il punto è un altro, e dobbiamo portarlo allo scoperto.
Da un lato c’è il livore e la frustrazione di quella “maggioranza minacciata” di cui ho già avuto modo di parlare: gente che considera le battaglie per l’integrazione come una discriminazione al contrario, che punta a privilegiare gli “ospiti” a dispetto dei padroni di casa.
Dall’altro c’è la vera discriminazione contemporanea, che può passare sopra le differenze di lingua, di colore e di religione ma non può concepire la povertà.
Non solo, come sostengono in molti, perchè la povertà viene vista come una colpa; nonostante siamo tutti preda delle spinte divisive dell’ultra-liberismo di stampo anglosassone che vede nella realizzazione imprenditoriale personale l’emblema del successo e biasima l’indigente o il disoccupato, quel che resta del ceto medio convive con la percezione che lo stato sociale sta scomparendo e che la crisi sta diventando uno stato permanente.
Siamo costretti quindi a considerare il fatto che poveri si può diventare, anche incolpevolmente: proprio per questo l’ “altro” povero non è visto tanto come un reietto. E’ visto come un concorrente. Viene percepito come qualcuno alla ricerca di uno spazio in una società che si restringe continuamente, che lascia senza opportunità di crescita e senza solidarietà i suoi stessi membri. Chi giustifica l’intolleranza contro gli stranieri dicendo che la situazione è già troppo difficile per noi ha in realtà scoperchiato il vaso di Pandora.
Dobbiamo allora ammettere che l’astio nei confronti degli immigrati che pervade il nostro paese e tutti i cosiddetti paesi sviluppati è lo specchio della nostra crisi, della crisi di tutto il sistema capitalistico occidentale. Siamo ridotti a sopravviventi, costretti all’impossibilità di immaginare un futuro, senza più ideologie a cui aggrapparci.
Se fossimo una società in salute, che si considera un modello realmente vincente ed avanzato, l’idea di aiutare chi è in difficoltà non ci creerebbe nessun problema. Sarebbe istintivo come rialzare da terra un bambino che ha appena imparato a camminare.

In conclusione

Tante altre sono le considerazioni sull’argomento che si potrebbero aggiungere; e non ho la presunzione di credere che queste siano le più valide, o le più argute. Non faccio politica attivamente e non sono un esperto in materia di immigrazione – ma sapete che c’è? Il livello del dibattito attuale è talmente basso (si potrebbe definire inesistente) che basta davvero poco per buttare qualche idea sul tavolo. Ed è con le idee, con argomentazioni calate nel presente, e non solo con gli slogan e le manifestazioni che si demoliscono i pregiudizi e le tendenze razziste e sovraniste. Oggi promuovere genericamente l’accoglienza, la solidarietà, e scagliarsi contro “l’odio” rischia di mettere i valori che la sinistra vuole difendere allo stesso livello di quelli dei suoi avversari.
Bisogna rimettere in gioco i veri contenuti e stimolare l’opinione pubblica a fare le necessarie connessioni per tornare a ragionare su dove stiamo andando.
Serve una politica di sinistra che guardi al genere umano, e non più a questa o quella circoscrizione elettorale; e serve rendere i mezzi di informazione permeabili a nuovi messaggi, altrimenti ci estingueremo parlando dell’ennesimo scandalo corruzione, delle ennesime tensioni nel governo, dell’ennesima imbarcazione affondata o sequestrata.
Quando qui siamo noi quelli con l’acqua alla gola.