Io sono stato allevato da una femminista.
Non il tipo che manifestava per la libertà di lasciarsi crescere i peli, o per il diritto di sostituire la discriminazione della donna con la discriminazione dell’uomo.
Più il tipo che si è trovata a doversela cavare con un figlio a carico, senza una casa di proprietà e con soltanto il proprio lavoro con cui campare, e lo ha cresciuto senza predicare acredine e pregiudizi, ma al contrario insegnando il rispetto. Per gli altri, di tutti i generi, e per se stessi.
Insomma sará perché la parità di genere, i diritti delle donne e il concetto di famiglia sono temi tornati prepotentemente di attualità negli ultimi tempi che mi è tornata in mente questa storia.
Me la raccontò un amico medico che aveva assistito al caso clinico in questione. L’ho romanzata un pochino ma i fatti salienti sono riportati fedelmente.
La dedico alle femministe come mia madre.
Devo però supplire a una lacuna dato che non rammento il nome della nostra protagonista, quindi di sicuro su questo dovrò metterci del mio.
La chiamerò Clara.
È il mese di agosto e Clara e il marito ingegnere partono da Trento per le ferie. La destinazione l’ha scelta suo marito: il Circeo. Anche il mezzo di trasporto, la station wagon iperaccessoriata di famiglia, è stato scelto dal marito. E il viaggio deve durare due settimane, perché come ogni anno il marito non può assentarsi per più di quindici giorni dall’azienda. Ecco diciamo che l’ingegnere è il tipo d’uomo abituato a prendere tutte le decisioni, soprattutto nella vita di coppia.
A Clara va bene, anche se le era stato promesso il sud della Francia. Poi non le piace guidare, soprattutto le auto troppo grandi. E dopo quindici giorni lontano da casa comincia a sentirsi inutile.
Clara è felice, anche se le è mancato non fare figli. Se ne accorge più che altro perchè sente di dover dare qualcosa ma non sa a chi. Avrebbe bisogno di sfogare il suo istinto materno su qualcuno, e inconsciamente cerca di farlo sul marito.
Ma l’ingegnere non è il tipo. È un uomo iperattivo che ci tiene a dimostrare di essere indipendente, sempre. Non gli va a genio farsi servire, il che sarebbe anche una virtù se non fosse che tende ad occupare tutti gli spazi della vita in comune: preferisce che sia lui a cucinare, a meno che non rincasi troppo tardi e in quel caso non è di buon umore, non si capisce se perchè ha avuto una giornata pesante o perchè il suo ritardo gli ha impedito di mettersi ai fornelli (in quei casi Clara si mette d’impegno, ma mai una volta che lui mostri di aver apprezzato). Se hanno amici a cena, oltre a stilare il menu accompagna Clara con la station wagon al supermercato per sovraintendere alla spesa. Stira personalmente camicie e pantaloni, e spesso anche i vestiti della moglie. Con lei è premuroso ma risoluto, sempre pronto a dar consigli su qualunque cosa; ma nei suoi affari preferisce che gli altri non mettano becco.
All’altezza di Valdarno fanno tappa in un hotel per la notte.
La mattina Clara si sveglia, l’ingegnere dorme ancora, probabilmente stanco per il viaggio.
Si fa la doccia, si prepara, ogni tanto butta un occhio al letto ma niente. Eppure è lui il più mattiniero dei due. Dà un’occhiata all’orologio, sono le 9 passate.
Si avvicina, lo chiama: niente. Lo scuote: niente. Lo chiama e lo scuote: niente.
In ansia controlla il respiro, ma è regolare. Allora comincia a gridare, butta all’aria le lenzuola, scoppia in lacrime. Si fa prendere dal panico.
Un’ora dopo, nonostante i tentativi di metà del personale dell’albergo di ridestarlo, l’ingegnere dorme ancora. Allora si chiama il dottore del paese, che arriva quasi subito. Senza strumenti però il medico non è in grado di stabilire la gravità della situazione.
A mezzogiorno arriva l’ambulanza e l’ingegnere, sempre in stato di incoscienza, viene trasportato d’urgenza al Careggi di Firenze. Clara non è in grado di guidare quindi un impiegato dell’albergo si offre di seguirli con la station wagon.
Il resto della giornata per la poveretta si consuma nell’angoscia. In ospedale non le dicono nulla, tranne che il marito è ancora vivo e apparentemente non ha valori anomali nel sangue, il che esclude anche l’eventualità di un avvelenamento.
Nessun medico potrà dare risposte in giornata e Clara deve cercarsi una sistemazione per la notte. La trova con l’aiuto del personale dato che, tra il suo stato confusionale e il fatto che tutte le prenotazioni venivano gestite dall’ingegnere, non ha la minima idea di chi chiamare e cosa dire.
La mattina dopo un’equipe di medici e assistenti (tra cui il mio amico) esprime una mezza diagnosi: l’ingegnere soffre di una forma acuta di letargia, una sorta di stato di sonnolenza patologica.
Clara non riesce a capacitarsi di come possa esistere un sonno così profondo e come possa essere capitato così, d’un tratto.
Suo marito soffre di mal di testa o dolori muscolari? Ha passato un periodo di forte stress? Ha mai avuto attacchi epilettici? E’ in cura presso uno psichiatra? Ha avuto esperienze di ipnosi? E’ stato recentemente in Africa?
Clara impara quel giorno che non è mai il caso di fare una domanda a un’equipe di medici.
Nei giorni seguenti Clara fa la spola tra l’albergo e l’ospedale. All’inizio usa i mezzi, poi si decide a provare a guidare. Fa le prove nel parcheggio come una principiante. Prima sbalzi e strappi come a cavalcare un toro, poi l’auto si adegua docilmente.
Ci ha messo un pomeriggio ma è riuscita a disdire tutte le prenotazioni fatte dal marito; passa in ospedale tutto il giorno, pranza al bar e la sera cena in albergo oppure in una trattoria che le ha consigliato un infermiere molto gentile. L’ingegnere è sempre sotto esami. L’unica buona notizia è che per il momento si escludono danni cerebrali.
Clara passa ore a guardarlo dormire. Si rende conto che non lo ha mai visto fermo e zitto per più di venti minuti di fila: quella serafica immobilità è una visione per lei insolita e stupefacente quanto un’aurora boreale. Stare vicino al marito addormentato le infonde una particolare serenità, mai provata prima.
Inaspettatamente anche guidare la station wagon non le dispiace. Alla guida si sente come dentro la pancia di un enorme pesce che si muove sinuoso nel traffico. Cosa ancora più sorprendente ha scoperto di avere un vero talento per il parcheggio. Infila tutti i cinque metri del pescione in ogni spazio tanto generoso da accoglierlo, con una precisione di manovra e una velocità di esecuzione che le hanno valso i fischi di approvazione del portiere dell’albergo.
Ma il lungo sonno dell’ingegnere porta con sè anche incombenze che non si rivelano piacevoli.
La scorta di contanti sta terminando e Clara trascorre due mattinate nella filiale fiorentina della loro banca per sbrigare le pratiche che la abilitano a svolgere tutte le operazioni economiche che ha da sempre lasciato nelle mani del marito.
Con il protrarsi del ricovero (ormai è passata già una settimana) la trasferta comincia a farsi dispendiosa. Anche per questo Clara decide di accettare l’offerta dell’infermiere gentile che sempre più gentile le propone di lasciare l’albergo e trasferirsi in un monolocale che ha in comproprietà con la sorella, al momento sfitto. Almeno per la restante settimana di ferie, dice. Clara tituba, chiedendosi anche se stia dando l’idea di una che si sta godendo una vacanza. Ma comprende che è solo un’espressione infelice e davanti agli innegabili vantaggi offerti accetta.
La nuova sistemazione rivela però anche degli svantaggi: Clara si deve occupare in prima persona di tutta una serie di cose che ha sempre ignorato. Il rapporto con un termostato, ad esempio. Lavare i piatti a mano. O fare la spesa, per la prima volta da innumerevoli lustri, senza la salda regia dell’ingegnere. Clara si rende conto insomma che il marito si è preso tutti gli spazi non soltanto perché è un accentratore un po’ pedante (parecchio pedante in verità) ma anche perché lei ha spontaneamente delegato tutto ciò che nella vita non le interessa, o pensa che non le competa, rendendosi da sola una persona inadeguata. Si domanda anche se questo carico che l’ingegnere si è preso sulle spalle e che con gli anni è diventato sempre più pesante non lo abbia riempito d’ansia e se questo accumulo non sia la vera causa della sua malattia.
Se vi state chiedendo come faccio a sapere certe cose è perché Clara le ha confidate all’infermiere gentile che poi le ha raccontate al mio amico che poi le ha raccontate a me. Clara ha invitato l’infermiere a cena per sdebitarsi, facendo bene attenzione a non dargli idee sbagliate. Ha il sospetto che l’uomo nutra un certo interesse per lei, e se la cosa da un lato un poco la lusinga dall’altro la respinge in modo netto. L’infermiere in effetti non è privo di secondi fini e un giro se lo farebbe volentieri: d’altronde, come dice il mio amico, in ospedale sono proprio gli infermieri che ci danno dentro più di tutti.
Ma la serata al monolocale si rivelerà drammatica per il suo testosterone: in pieno flusso di coscienza, dopo anni passati senza confidarsi con nessuno e dieci giorni che hanno ribaltato i punti fermi della sua vita, Clara è un fiume di parole inarrestabile, una micidiale macchina schiacciapalle che prosciugherebbe persino gli istinti di uno appena uscito da trent’anni di carcere.
Come se non bastasse la cena è pessima: un quindicenne lasciato per la prima volta ai fornelli avrebbe fatto sicuramente meglio. L’infermiere batte in ritirata in preda ai bruciori di stomaco e Clara ha la nuova, ennesima rivelazione: altro che giornate dure, a mettere di cattivo umore il marito era proprio la sua cucina.
Manca un giorno alla fine delle ferie. L’ingegnere è sempre addormentato.
I medici escludono il coma, anzi l’attività cerebrale è vivace: l’ingegnere sogna, e loro non sanno che pesci pigliare.
Clara lo lava e lo rade. Negli ultimi giorni gli ha parlato spesso. Telefona in azienda per comunicare che il marito non è in grado di tornare, poi, a quanto si sa, passa la giornata girando per autosaloni.
Quando acquistava qualcosa l’ingegnere non mancava mai di trattare sul prezzo. Fino al momento di pagare era un cliente ideale; poi diventava aggressivo, faceva il matto sbraitando tutti i motivi per cui secondo lui uno sconto era dovuto, e il venditore si trovava talmente spiazzato che la maggior parte delle volte cedeva per evitare di attirare l’attenzione dei suoi capi o degli altri clienti.
Clara ottiene gli stessi risultati ma con una tecnica diversa. È la goccia che buca pazientemente la roccia, il tarlo che assiduamente abbatte la quercia, la nota monotona che stordisce e ipnotizza. E ne esce vincitrice: con la permuta della station wagon e l’aggiunta di una somma veramente modesta si compra un camper.
Quando convoca l’equipe per comunicargli che vista l’assenza di risultati non può far altro che riportare a casa il marito, i medici allargano le braccia e si fingono costernati ma in realtà dentro di loro fanno salti di gioia.
Gli amici del reparto, gli infermieri e gli inservienti che avevano preso a cuore lei e la sua storia concordano tutti sul fatto che la donna che ripartiva era molto diversa da quella che era arrivata, inerme e in preda al panico, due settimane prima.
Tutti pensavano che forse sarebbe stato meglio che l’ingegnere continuasse a sognare per sempre. In fondo, non era una così triste condizione. Soprattutto per un ingegnere.
Quanto a me, io penso che forse era vero che Clara aveva più bisogno di un figlio che di un marito; o comunque di qualcuno che la caricasse di sfide e di responsabilità, invece di sottrargliele e metterla al riparo. Mi piace anche pensare che abbia imparato che una donna che prende il posto di un uomo non deve per forza comportarsi come un uomo. Anzi, meglio per tutti se continua ad essere una donna.
Ad ogni buon conto, dopo qualche giorno si viene a sapere che Clara e il suo bell’addomentato a Trento non ci sono mai arrivati. Tutto quello che si sa è che quando l’infermiere ha fatto ritorno al monolocale dopo che Clara lo aveva lasciato ha trovato, ancora aperta sul tavolo, una mappa del sud della Francia.